Una delle parole chiave nel mondo dell’educazione è diventata “mobilità”. Un termine che può essere applicato a diversi aspetti della scuola (mobilità sociale, mobilità intergenerazionale) ma una delle più interessanti declinazioni è indubbiamente la mobilità internazionale. Tanto che a questo vero e proprio fenomeno dedica diverse pagine l’ultimo rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo) Education at a Glance 2017 che traccia un profilo estremamente dettagliato dello stato dell’istruzione nei paesi sviluppati.

Chi sono gli studenti in mobilità internazionale? Sono coloro che, terminate le scuole secondarie – il liceo – lasciano il loro paese di origine per andare in un altro con l’intenzione di studiare e di laurearsi lì. Il loro numero è in continua crescita. In media nei paesi OCSE chi se ne va a studiare altrove (come prima iscrizione all’università) è l’11 per cento. Una percentuale che risulta da quote molto diverse: 3 per cento gli Stati Uniti – che hanno fra le migliori università al mondo – ma anche 12 per cento del Regno Unito – che non difetta di ottimi e celebrati atenei -, 15 della Svizzera e dell’Austria e 12 della Germania. L’Italia? Il 4 per cento. Ognuno può dare a questo numero una spiegazione diversa: forse abbiamo ottime università e non c’è bisogno di andare a studiare all’estero, oppure i ragazzi italiani non amano lasciare casa, o – ancora – patiamo più degli altri le conseguenze della Grande Crisi e le economie familiari italiane rendono difficile il mantenimento di un figlio all’estero per motivi di studio. In mancanza di indagini che orientino su una risposta o su un’altra, rimane il dato di fatto: gli studenti italiani sono fra quelli con minore mobilità; e questo non va bene, per ovvi motivi, in un mondo globalizzato.

Gli studenti sono più mobili a più alti livelli di istruzione. Rappresentano più di un quarto degli studenti di dottorato. La mobilità è in costante aumento con l’aumento dei livelli di istruzione, ma le tendenze a livello di dottorato di ricerca sono molto diverse da quelle a livelli più bassi, con alcuni paesi che diventano più attraenti di altri.

Nell’istruzione terziaria, gli studenti in mobilità internazionale si concentrano su scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM, dove si concentrano il 59 per cento degli studenti di dottorato in mobilità dell’OCSE) nonché su economia, amministrazione e legge. Perché queste discipline giocano un ruolo essenziale nell’innovazione e nella creazione di posti di lavoro.

Studiare all’estero offre l’opportunità di accedere a un’istruzione di qualità, di acquisire competenze che non sono necessariamente insegnate nel paese di origine e di avvicinarsi a un mercato del lavoro in cui la formazione professionale può essere a livelli più alti. È anche un modo per aumentare l’occupabilità in mercati di lavoro sempre più globali. Chi va oltre i confini del proprio paese, inoltre, scopre aziende di cui non immaginava nemmeno l’esistenza e migliora le competenze linguistiche, specialmente in inglese.

Per i paesi ospitanti, gli studenti in mobilità internazionale possono essere un’importante fonte di reddito e avere un notevole impatto sull’economia e sull’innovazione. Secondo il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, gli studenti internazionali hanno iniettato più di 35 miliardi di dollari nell’economia degli Stati Uniti nel 2015. A più lungo termine, è probabile che i migliori integrino il mercato del lavoro locale e contribuiscano alla produzione di conoscenza, all’innovazione e alla crescita economica.

Nei paesi di origine, la mobilità internazionale degli studenti può essere considerata una perdita di talenti? Solo se i giovani danno un taglio netto ai luoghi e alla cultura da cui provengono. Succede, ma non così spesso. Nella maggior parte dei casi gli studenti in mobilità contribuiscono all’assorbimento delle conoscenze, alla modernizzazione tecnologica e alla creazione di nuove abilità nel loro paese d’origine, non solo se ritornano dopo la laurea ma anche se mantengono forti legami con i loro compatrioti. Inoltre, la mobilità degli studenti sembra contribuire alle reti internazionali di cooperazione scientifica più profondamente della prossimità linguistica, geografica o scientifica.

È positivo, dunque che studenti italiani seguano percorsi di apprendimento in università americane, britanniche, olandesi o di qualsiasi altro paese con istituzioni educative di alto livello. Sono ancora pochi e il loro numero è destinato a crescere. È anche così che si diventa sempre più cittadini del mondo e cittadini d’Europa.

Redazione News4You
© RIPRODUZIONE RISERVATA